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Immagine del redattoreFabrizio Quintili

La lezione di Tamberi: perché la vittoria non è mai un obiettivo di coaching



Gianmarco Tamberi si dispera per la prestazione ai giochi olimpici di Parigi 2024
La vittoria non è mai un obiettivo di coaching

Ti è mai capitato di sentire un sales manager affermare "Voglio che il mio reparto superi tutti gli obiettivi di vendita"? Oppure un CEO dire: "Voglio che la mia azienda diventi leader di mercato"; o un manager: "Voglio ottenere la promozione a direttore entro l'anno"; o anche un dirigente: "Voglio che il mio team sia il più performante dell'azienda"?


Senza dubbio, tutti desideri legittimi. Ma se fossi il coach, come risponderesti?


Sinteticamente e metaforicamente, tutte queste richieste possono essere riassunte in una parola: vittoria.


Sorprendentemente, però, la vittoria non può essere considerata MAI un obiettivo di coaching.

Sì, hai letto bene, MAI. E no, non sono impazzito.


In un mondo dove il successo sembra essere l'unica misura del valore, questa affermazione può sembrare un controsenso. Eppure è proprio qui che il coaching mostra la sua vera potenza.


Ma perché la vittoria non può essere MAI un obiettivo di coaching?


La risposta sta in un concetto fondamentale: la controllabilità.

Un obiettivo di coaching deve essere qualcosa su cui il cliente ha un controllo diretto e su cui può lavorare per poter dire con certezza "L'ho raggiunto" o "Non l'ho (ancora) raggiunto". La vittoria, per quanto desiderabile, non lo è.


E questo perché una consapevolezza sulla quale si lavora durante il percorso è proprio differenziare le cose controllabili dalle cose non controllabili (approfondirò la profondità e la ricaduta di questo concetto sul benessere in un prossimo articolo).


Prendiamo il caso di Gianmarco Tamberi alle Olimpiadi di Parigi 2024.


Numerosi articoli di giornali ci hanno raccontato di un atleta che, nonostante l'enorme impegno e desiderio di bissare l'oro di Tokyo nel salto in alto, si è trovato a fare i conti con una realtà imprevedibile: una colica renale improvvisa che ha compromesso la sua performance.


Tamberi non poteva controllare questa situazione. Ma anche pensando a situazioni meno imprevedibili, non poteva controllare ad esempio le prestazioni dei suoi avversari, o le condizioni meteo, o le reazioni del pubblico, ecc. In breve, non poteva controllare la vittoria.


Il fatto che questo obiettivo gli sia sfuggito significa allora che, se per ipotesi Tamberi avesse fatto un percorso di coaching, questo sarebbe stato fallimentare? O avrebbe voluto dire che Tamberi non è il campione che è? Quali implicazioni avrebbe avuto su di sé il concetto "Hai fallito, non hai vinto!"? (Sebbene la realtà sia stata ancora più dura, nel senso che non ha avuto proprio la possibilità di partecipare alla pari).


E se traslassimo questo esempio in azienda: il team che ha fatto un percorso di coaching e non è diventato il miglior team dell'azienda significa che non ha imparato nulla? O che non ha fatto progressi? O che il percorso è stato inutile?


Certamente no, ed è per questo che il focus del lavoro non può mai essere la vittoria.


Allora, su cosa dovrebbe concentrarsi un coach?


La risposta è: sulle abitudini, sulle convinzioni, sulle consapevolezze e sugli apprendimenti.


Quelle azioni quotidiane, quei comportamenti ripetuti che, nel tempo, plasmano le prestazioni e il carattere di una persona o di un team. Queste sono le vere leve del cambiamento, i mattoni con cui si costruisce il miglioramento e, nel migliore dei casi, il successo.


Nel mio articolo "Oltre i sogni: come il coaching usa il goal setting per concretizzare le ambizioni", ho parlato dell'importanza di trasformare i sogni in obiettivi concreti.


Questo principio si applica perfettamente a qualsiasi ambito della vita.


Alcuni esempi in ambito aziendale.


Invece di focalizzarsi sulla "vittoria" (risultato finale desiderato), il coach può lavorare con il cliente su obiettivi quali, ad esempio:

  • migliorare le abitudini di leadership: "Dedicherò 30 minuti ogni giorno al feedback individuale con almeno un membro del mio team, concentrandomi sullo sviluppo delle loro competenze chiave."

  • ottimizzare la comunicazione strategica: "Terrò una riunione settimanale di 45 minuti con i responsabili di reparto per allineare gli obiettivi e discutere i progressi dei progetti prioritari."

  • affinare la gestione del tempo e delle priorità: "Utilizzerò la tecnica del time-blocking per dedicare 2 ore al giorno, senza interruzioni, alle attività strategiche ad alto impatto per l'azienda."

  • migliorare la gestione finanziaria: "Dedicherò 45 minuti ogni lunedì mattina alla revisione dei KPI finanziari chiave e all'aggiornamento delle previsioni di budget."

  • rafforzare la cultura aziendale: "Organizzerò un incontro mensile di un'ora con tutto il personale per condividere i successi, affrontare le sfide e allineare tutti ai valori e alla visione dell'azienda."


Questi sono obiettivi controllabili. Il cliente può decidere di farli o non farli. Può misurarli, modificarli, perfezionarli. E, cosa più importante, può realizzarli indipendentemente dal risultato finale.


Ma attenzione: questo non significa rinunciare al sogno del successo. Al contrario, significa costruire un percorso solido e concreto per avvicinarsi il più possibile a quel sogno e puntare sul raggiungerlo.


Il paradosso è che concentrandosi su ciò che può controllare, la persona aumenta significativamente le sue possibilità di successo.

Perché? Perché migliora costantemente, si adatta più facilmente alle sfide, sviluppa una mentalità resiliente.


Come coach, il nostro compito è guidare il cliente in questo processo. Aiutarlo a identificare le abitudini chiave, a stabilire obiettivi realistici e sostenibili, a monitorare i progressi e a fare gli aggiustamenti necessari lungo il percorso.


In conclusione, il vero obiettivo del coaching non è il successo in sé, ma lo sviluppo di una persona completa, capace e resiliente.

Una persona che, indipendentemente dal risultato finale, sa di aver dato il massimo, di essere cresciuta, di aver acquisito abitudini che la renderanno migliore non solo nel lavoro, ma nella vita.


La prossima volta che sentirai qualcuno dire "Voglio vincere a tutti i costi", prova a chiedergli: "E cosa farai ogni giorno per avvicinarti a quel sogno?". Lì, in quella risposta, si nasconde il vero lavoro del coaching.


E tu, che abitudini stai coltivando per raggiungere i tuoi obiettivi?

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