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Coach e intelligenza artificiale: alleati o nemici?

Aggiornamento: 23 giu


Un coach androide ascolta un cliente

Un dirigente HR mi ha fatto questa domanda qualche giorno fa: "Ma secondo te, tra qualche anno avremo ancora bisogno dei coach professionisti o sarete sostituiti dai bot di intelligenza artificiale?"

La domanda non mi ha colto di sorpresa. Anzi, è una delle questioni più dibattute nel nostro settore. E la cosa interessante è che spesso viene posta con un tono che oscilla tra la curiosità genuina e una sottile preoccupazione.

Ma facciamo un passo indietro.

L'intelligenza artificiale sta davvero cambiando il volto del coaching?

La risposta è sì, ma non nel modo che molti immaginano.


I bot come strumenti di coaching: cosa funziona e cosa no

Non possiamo negare che l'AI stia entrando prepotentemente nel mondo dello sviluppo personale e professionale. App di coaching, chatbot che simulano conversazioni motivazionali, algoritmi che analizzano i pattern comportamentali... La tecnologia offre strumenti sempre più sofisticati.

"Un algoritmo può processare migliaia di dati comportamentali in pochi secondi, ma non può percepire l'energia che si crea quando un cliente ha la sua intuizione", mi ha detto recentemente un collega durante una supervisione.

E questa osservazione tocca il cuore della questione.

I bot eccellono in alcune funzioni specifiche: monitoraggio dei progressi, reminder personalizzati, raccolta e analisi di dati comportamentali, sessioni di pratica strutturate. Possono persino simulare conversazioni di coaching seguendo modelli predefiniti.

Ma c'è qualcosa che manca. Qualcosa di profondamente umano.

Quello che l'AI non può replicare: la presenza umana nel coaching

Nel coaching professionale, secondo le competenze ICF, una delle abilità fondamentali è quella di "mantenere la presenza". Questo significa essere completamente presenti nel qui e ora con il cliente, percepire non solo le parole ma anche l'energia, le esitazioni, i cambiamenti di tono, le emozioni non espresse.

Un esempio pratico? Durante una sessione di coaching, una manager mi stava raccontando di una sfida professionale. Le parole dicevano una cosa, ma il suo linguaggio del corpo ne diceva un'altra. Ho fatto una pausa e le ho chiesto: "Cosa sta succedendo in questo momento? Ho la sensazione che ci sia qualcos'altro...".

Quella domanda ha aperto uno spazio di consapevolezza che ha portato a una svolta nel percorso. Un bot, per quanto sofisticato, avrebbe continuato a seguire il programma predefinito.

La differenza tra informazione e trasformazione

L'AI è eccellente nel fornire informazioni, suggerimenti, tecniche, strategie. Ma il coaching professionale lavora sulla trasformazione, e questa avviene nella relazione umana.

Come diceva Carl Rogers, uno dei padri della psicologia umanistica, "la relazione terapeutica è essa stessa l'agente del cambiamento". Nel coaching vale lo stesso principio.

La partnership tra coach e cliente, quella che la norma UNI 11601 definisce come "relazione strutturata di reciproca fiducia", è molto più di uno scambio di informazioni. È uno spazio protetto dove il cliente può:

  • esplorare senza giudizio pensieri e emozioni

  • sperimentare nuove prospettive attraverso le domande potenti del coach

  • sviluppare autoconsapevolezza grazie al feedback umano

  • creare accountability in una relazione di fiducia autentica.

L'AI come alleato del coach professionale

Piuttosto che vedere l'intelligenza artificiale come una minaccia, i coach professionisti stanno imparando a usarla come alleato strategico.

Ma l'elemento umano rimane centrale. Come mi disse un cliente qualche mese fa: "L'app mi dice cosa dovrei fare, ma tu mi aiuti a capire le risorse uniche che posso sfruttare in me per farli".

Il futuro del coaching: integrazione, non sostituzione

La direzione verso cui stiamo andando non è quella della sostituzione, ma dell'integrazione intelligente.

Immaginate un percorso di coaching dove:

  • il bot monitora i progressi quotidiani del cliente

  • l'AI analizza i pattern comportamentali e suggerisce aree di focus

  • il coach umano utilizza questi dati per approfondire le sessioni

  • la tecnologia supporta il cliente tra una sessione e l'altra.

Questo modello ibrido può amplificare l'efficacia del coaching tradizionale, mantenendo l'elemento umano al centro del processo di trasformazione.

Coaching e intelligenza artificiale: una sinergia possibile

Dal punto di vista del coaching, l'AI può supportare aspetti specifici del processo di cambiamento comportamentale. Può aiutare nel monitoraggio dell'autoefficacia, nel tracking delle abitudini, nell'analisi dei pattern cognitivi.

Ma le competenze core del coaching - ascolto attivo, gestione della relazione, facilitazione dell'insight, accompagnamento emotivo - rimangono profondamente umane.

Un recente studio della International Coach Federation ha evidenziato che i clienti che utilizzano strumenti di AI integrati nei percorsi di coaching tradizionale mostrano risultati superiori rispetto a chi usa solo l'una o l'altra modalità.

Riflessione finale

Tornando alla domanda iniziale del dirigente HR: avremo ancora bisogno dei coach professionisti?

La mia risposta è che ne avremo più bisogno che mai. Ma dovremo essere coach che sanno integrare la tecnologia nel proprio lavoro, mantenendo salda la specificità umana della professione.

L'intelligenza artificiale può darci informazioni, ma solo un altro essere umano può accompagnarci nella trasformazione. Può processare dati, ma non può essere presente con noi nel momento dell'insight. Può suggerire strategie, ma non può co-creare con noi nuove possibilità.

Il futuro del coaching è nell'equilibrio tra l'efficienza della tecnologia e la profondità della relazione umana. Non si tratta di scegliere tra l'uno o l'altro, ma di creare una sinergia che amplifica il potenziale di crescita delle persone e delle organizzazioni.

Perché alla fine, come diceva Maya Angelou, "le persone dimenticheranno quello che hai detto, dimenticheranno quello che hai fatto, ma non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire". E questo, almeno per ora, è qualcosa di profondamente umano.

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