Rispondi a questa domanda di getto: secondo te l'intelligenza artificiale è uomo o donna?
Ti sembra una domanda assurda, vero? Ecco, purtroppo, non lo è...
Ricordi HAL 9000, il supercomputer di bordo della nave spaziale Discovery nel film "2001: Odissea nello spazio" di Stanley Kubrick? Aveva una voce maschile. Magari per esigenze narrative, per carità, ma a nessuno è mai parso strano...
Forse perché il personaggio di HAL 9000 doveva esprimere alcune caratteristiche tipicamente associate al maschile, come autorità, competenza tecnica e competitività?
Ecco in azione un bias di genere, il cosiddetto stereotipo della leadership maschile, ossia la tendenza ad associare le qualità di leadership principalmente agli uomini.
La nostra mente "veloce", come ci insegna Kahneman, non è per niente razionale e quindi è portata a ritenere plausibile una domanda come quella iniziale sul genere dell'intelligenza artificiale.
Fin qui niente di male, se non che la mente veloce ci porta a deduzioni illogiche che ci complicano la vita e, molto più spesso, la complicano agli altri.
I bias cognitivi sono scorciatoie mentali che il nostro cervello utilizza per prendere decisioni rapide. Sono filtri attraverso cui interpretiamo la realtà in maniera istantanea, il più delle volte senza renderci conto della loro esistenza.
Questi bias possono portarci a prendere decisioni errate o a formulare giudizi distorti, soprattutto quando si tratta di valutare le persone.
Disclaimer: fare deduzioni rapide è fondamentale per la nostra sopravvivenza ed è una facoltà della nostra intelligenza. Per cui non sto accusando le nostre capacità, tutt’altro. Il messaggio, invece, è (come diceva uno spot della Pirelli) che “la potenza è nulla senza il controllo”. La potenza è la nostra velocità di deduzione, il controllo è la consapevolezza.
Ora possiamo riprendere il tema, dunque.
Tra i vari bias cognitivi, il bias di genere rappresenta una delle trappole mentali più insidiose e diffuse. Si tratta della tendenza ad attribuire caratteristiche, comportamenti o ruoli alle persone basandosi esclusivamente sul loro genere, piuttosto che sui fatti.
Esempi di bias di genere più comuni:
stereotipo della leadership maschile: la tendenza ad associare le qualità di leadership principalmente agli uomini. Esempio: In un'azienda, a parità di competenze, si tende a promuovere più facilmente un uomo per una posizione dirigenziale, presumendo che abbia naturalmente migliori capacità di comando;
bias della maternità: l'assunzione che le donne con figli siano meno dedicate al lavoro. Esempio: Un datore di lavoro potrebbe esitare ad affidare un progetto o un ruolo a una madre, presumendo che non possa garantire lo stesso impegno o la stessa qualità di performance perché ha meno disponibilità di tempo di un collega senza figli;
effetto "think manager-think male": l'associazione automatica tra ruoli manageriali e caratteristiche considerate tipicamente maschili. Esempio: Quando si chiede di descrivere un "manager di successo", molte persone tendono a elencare tratti stereotipicamente maschili come assertività e competitività;
bias del "doppio standard": giudicare comportamenti simili in modo diverso a seconda del genere di chi li mette in atto. Esempio: Un uomo che si esprime con decisione in una riunione viene considerato "assertivo", mentre una donna con lo stesso atteggiamento rischia di essere etichettata come "aggressiva";
stereotipo delle competenze: attribuire maggiori competenze in certi ambiti (es. tecnico-scientifici) agli uomini e in altri (es. cura e relazioni) alle donne. Esempio: In un colloquio per una posizione in ambito STEM, un recruiter potrebbe inconsapevolmente valutare più positivamente un candidato uomo rispetto a una candidata donna, anche a parità di qualifiche.
I bias, dunque, sono filtri che usiamo inconsapevolmente per leggere le situazioni ed emergono in maniera più evidente di fronte ad eventi che presentano caratteristiche nuove per la nostra esperienza. Sono sempre con noi, non è necessario entrare in ufficio per attivarli.
È di questi giorni, per esempio, il caso della pugile Imane Khelif, pugile algerina in competizione alle Olimpiadi 2024, caso che ha sollevato un acceso dibattito.
Khelif ha affrontato l'atleta italiana Angela Carini negli ottavi di finale della categoria 66 kg. L'incontro è terminato dopo meno di un minuto, con il ritiro della Carini.
La controversia nasce dal fatto che Khelif è accusata di gareggiare con armi impari avendo livelli di testosterone troppo elevati. Tuttavia, il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) ha ribadito che Khelif rispetta i criteri per l'ammissione alle competizioni femminili olimpiche.
Il caso ha scatenato persino reazioni politiche in Italia, con alcuni esponenti del governo che hanno erroneamente identificato Khelif come "pugile trans", nonostante non ci siano mai state prove a sostegno di questa affermazione e basandosi unicamente sulla selezione di alcune informazioni che hanno portato a deduzioni del tutto fantasiose. Il CIO ha criticato duramente queste reazioni, definendole un'aggressione contro l'atleta.
Questo episodio è utile per mettere in evidenza come agiscono queste distorsioni:
bias sulla "normalità" biologica: la discussione sui livelli ormonali di Khelif rivela come spesso si tenda a vedere come "anormale" ciò che si discosta da una presunta norma biologica femminile, ignorando la naturale variabilità umana;
stereotipo dell'aspetto fisico: le polemiche sull'aspetto "mascolino" di Khelif riflettono lo stereotipo che associa certe caratteristiche fisiche esclusivamente al genere maschile;
bias della categorizzazione binaria: la difficoltà nel gestire casi come quello di Khelif evidenzia come la mente fatichi a superare una rigida categorizzazione binaria di genere;
pregiudizio sulla competenza femminile: le reazioni al caso potrebbero riflettere un bias latente sulla capacità delle donne di competere ad alti livelli in sport considerati tradizionalmente "maschili";
doppio standard nelle aspettative: il clamore generato dal caso potrebbe indicare un doppio standard nelle aspettative, ossia prestazioni eccezionali femminili vengono messe più facilmente in discussione rispetto a quelle maschili.
Questo caso evidenzia la necessità di un approccio più sfumato e scientificamente fondato alle questioni di genere in generale, non soltanto nello sport, evitando semplificazioni e stereotipi che possono danneggiare persone, organizzazioni e gruppi.
Riconoscere i bias è il primo passo per superarli.
Come coach, il nostro ruolo è fondamentale nell'aiutare le persone a identificare e sfidare questi preconcetti, promuovendo una visione più equa e inclusiva sia nel mondo dello sport che nella società in generale.
Per farlo, possiamo:
allenare la consapevolezza: aiutare le persone a riconoscere i propri bias inconsci attraverso esercizi di riflessione e auto-osservazione;
promuovere la diversità: incoraggiare attivamente la presenza di diversi punti di vista e background nei team e nelle organizzazioni;
sfidare gli stereotipi: mettere in discussione le assunzioni basate sul genere, chiedendo "perché pensi questo?" quando emergono giudizi stereotipati;
valorizzare le competenze individuali: focalizzarsi sulle capacità e i risultati effettivi delle persone, anziché su caratteristiche legate al genere;
educare all'empatia: sviluppare la capacità di mettersi nei panni degli altri, per comprendere meglio le diverse esperienze e prospettive.
Ricordiamoci sempre che ogni individuo è unico, con le proprie capacità, ambizioni e potenzialità. Gestire i bias di genere non solo rende più equo il nostro giudizio, ma ci permette di valorizzare appieno il talento di ogni persona, indipendentemente dal genere.
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