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Il coach è un motivatore?

Aggiornamento: 30 ott 2021


Sono un coach”. Risposta: “Allora sei un motivatore!”. Ecco, anche no direi...

Nel corso degli anni ho notato che spesso il coaching viene associato alla figura del “motivatore”.

Alla base ci sono certamente tanti video di speaker motivazionali, le numerose frasi motivazionali che girano sui social, i vari libri con titoli tipo “Scopri il tuo vero talento con il coaching”, ecc.


Ma il tema, a mio parere, è più ampio di quello che appare. Questa associazione tra coach e “motivatore”, infatti, mi sembra che sia anche il frutto di una convinzione profonda e diffusa sui fattori che più di altri permettono di esprimere performance di alto livello (o come spesso sento dire “i fattori alla base del successo”).


Quali sono i fattori alla base delle performance eccellenti? Motivazione e talento, due fattori sopravvalutati.

In questo articolo voglio anzitutto affermare che il coaching non ha la finalità di motivare.


Secondo poi chiarisco, contrariamente alla convinzione comune, quali sono i fattori determinanti nelle performance di alto livello.


Infine, ti porto a comprendere perché chi fa un percorso di coaching può realmente incrementare la propria motivazione.


Anzitutto partiamo dalle convinzioni diffuse che spingono ulteriormente a fare cortocircuito tra coaching e motivazione.


Quali sono i fattori alla base delle performance eccellenti?

Motivazione e talento, risponderebbero in tanti.

Vediamoli.


La motivazione (assieme alla sorella minore “forza di volontà”) è il primo fattore sopravvalutato. Chi riesce è perché è motivato o ha tanta “forza volontà”. Chi non riesce ne ha poca. Il tutto, sempre nell’immaginario comune, si traduce nell’impegno personale.


Altro fattore sopravvalutato: il talento. Più sottile nella versione “essere portato per” o “non essere portato per”. Il talento, come fosse una verità autoevidente, viene automaticamente collegato alla preparazione tecnica, alla competenza. Più si è bravi, più si ha talento.


E questo è anche quello che abbiamo sentito ripetere mille volte dai nostri genitori: "devi impegnarti di più!", oppure la variante “lascia perdere… non sei portato”.

Dunque, le alte prestazioni (o le basse prestazioni), nella convinzione comune, sono spiegate per lo più da questi due fattori: motivazione e talento.


E questo è anche quello che abbiamo sentito ripetere mille volte dai nostri genitori: "devi impegnarti di più!", oppure la variante “lascia perdere… non sei portato”. Frasi che naturalmente ci capita di ripeterle ai nostri figli.


Pensiamo ai risultati scolastici o ai risultati sportivi, ad esempio. Quando una persona cui vogliamo bene ci dice “sto pensando di iniziare a fare… di frequentare la facoltà di…” quasi immediatamente ci chiediamo “sarà portato per…? Avrà la motivazione giusta per…?”.


La conseguenza di questo approccio mentale, dunque, è pensare che per superare gli ostacoli occorre o sforzarsi di più, o incrementare la motivazione (quasi sempre a seguito di minacce…), oppure avere talento.


Ora, queste convinzioni costituiscono la premessa migliore per farci abbandonare i nostri progetti quando le difficoltà sono maggiori di quanto avevamo pensato, ossia molto spesso.

Questa visione delle cose, però, è eccessivamente sintetica e soprattutto statica. Il passo successivo, infatti, è trattare questi fattori al pari degli occhi azzurri o del colore dei capelli: o ce li hai, o non ce li hai. E a questo punto il gioco è fatto: le cose sono così e non cambiano.


La comodità di questa convinzione e quindi il suo successo, d’altro canto, sta anche nel fatto che può essere impiegata come alibi perfetto per zittire tutti: “non posso farcela, non ho abbastanza talento…”, oppure “non sono abbastanza motivato…”.


Ora, queste convinzioni costituiscono la premessa migliore per farci abbandonare i nostri progetti quando le difficoltà sono maggiori di quanto avevamo pensato. Ossia la maggior parte delle volte in cui il progetto è minimamente ambizioso.


Il risultato di questo approccio mentale è la demotivazione. Ci demotiviamo perché non riusciamo a superare gli ostacoli, non riusciamo a migliorare.


Quali altri fondamentali fattori, invece, sono in gioco?

Questo, in sintesi, è il quadro proposto nel libro “Mindset: The New Psychology of Success”, bestseller della psicologa Carol Dweck. In coda all’articolo puoi trovare il link ad un suo celebre Ted: “The power of believing that you can improve”.

Ecco la mia tesi: siamo indotti a confondere il coach con un “motivatore” non solo da ciò che si vede e si sente nei media, ma anche perché motivare ci sembra l'unico modo per venire a capo delle difficoltà. In quale altro modo il coaching, altrimenti, può alzare le performance se non incrementando i fattori che comunemente si credono siano alla base delle performance eccellenti?


Quali altri fondamentali fattori, invece, sono in gioco?


Altri fattori assolutamente sottovalutati sono la chiarezza nella definizione dei risultati desiderati (direzione) e la convinzione (perseveranza). Sono fattori diversi e separati dalla motivazione e dall’attitudine. Fattori, però, che sostengono gli altri elementi (sì, motivazione e talento) e senza i quali non si va da nessuna parte.


Per esempio, prendiamo in esame la definizione dei risultati desiderati. Se non ho ben chiaro in che direzione muovermi, gli altri fattori diventano inutili. O meglio, rimangono desideri che non si trasformano in obiettivi.


Il coaching supporta il cliente nel trovare la direzione giusta per sé, adeguata alle proprie risorse, superare le convinzioni limitanti, costruire una strategia, sperimentarsi.

Voglio essere più sicuro di me”, “Voglio vendere di più”, “Voglio che il pubblico mi applauda dopo la presentazione”, “Voglio essere il miglior giocatore del campionato”, sono desideri. Dentro queste definizioni ci sono numerose variabili fuori dal controllo di chi le ha elaborate e pertanto espongono la persona alla sensazione di vedere molto probabilmente frustrate le proprie aspettative.


Chiedo un aumento al capo” è un possibile obiettivo correlato al desiderio di sentirsi più sicuri.

Faccio presentazioni più sintetiche ed espressive” è un possibile obiettivo correlato all’incremento delle vendite.

Pianifico i contenuti della presentazione e li imparo a memoria” è un possibile obiettivo correlato al desiderio di venire applauditi.

Incremento la velocità della corsa e la gestione dello stress” è un possibile obiettivo correlato al desiderio di vincere il campionato.


Non mi dilungo perché la definizione degli obiettivi è un dominio di conoscenza molto sviluppato e approfondito nel coaching.


Il coaching supporta il cliente nel fare questo lavoro: trovare la direzione giusta per sé, adeguata alle proprie risorse (che spesso sono più potenti di quello che immaginiamo!), superare le convinzioni limitanti, costruire una strategia, sperimentarsi.


Misurare e verificare i propri miglioramenti, raggiungere gli obiettivi sì che rinforza un comportamento descrivibile dall’esterno come motivato. Ma non significa che il coach abbia svolto il ruolo di motivatore (del tipo… “dai che ce la puoi fare!”). Significa, piuttosto, che c’è stato un percorso verso l’incremento dell’efficacia dell’azione passato anzitutto per la chiarezza degli obiettivi. L’efficacia dell’azione incrementa il livello di motivazione in maniera virtuosa e retroattiva.


La perseveranza è, come dicevo, un altro fattore assolutamente sottovalutato. Per sintesi possiamo farla coincidere con la convinzione. Nelle biografie di persone che hanno raggiunto alti livelli di performance questo è un fattore che ricorre sempre. Cadere e rialzarsi, procedere lentamente ma incessantemente nella direzione decisa. A sostenerci c’è la convinzione di potercela fare. Convinzione e autostima sono concetti molto vicini.


Chiarezza negli obiettivi, convinzione: due fattori enormemente sottovalutati.

Anche su questo aspetto agisce il coaching. Il lavoro che si fa rispetto al recuperare le proprie risorse, i punti di forza, rileggere in chiave positiva quello che si pensa siano i nostri lati peggiori, imparare dall’esperienza, è finalizzato a sostenere la convinzione e l’autostima.


L’approccio efficace, dunque, non è incrementare lo sforzo, l’impegno, la motivazione. L’approccio efficace è, invece, sviluppare una mentalità orientata alla chiarezza dei risultati che voglio ottenere e alla gestione della convinzione (un po’ come un maratoneta deve gestire il fiato).

E la cosa che conta di più è che questi fattori si possono sviluppare e allenare sia negli individui (individual coaching), sia nei team (team coaching).




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