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Il coaching incrementa l'AUTOSTIMA o l'AUTOEFFICACIA?

Aggiornamento: 3 ott 2023


Donna che guarda lontano; la sua ombra è Wonder Woman

Sono timido e quindi non mi butto? O non mi butto e quindi mi percepisco come timido?

Ho paura di fallire e quindi non mi metto in gioco? O non mi metto in gioco e quindi mi percepisco come pauroso?

Sono domande, al netto di Marzullo... non banali.


Già Seneca affermava “Molte cose, non è perché sono difficili che non osiamo farle, ma perché non osiamo farle che sono difficili.


La domanda che spesso mi capita di fare quando un coachee afferma "mi sento male all’idea di fare questa azione” è “che cosa ti dice con certezza assoluta che questo ti impedisce di farla?”.


Il concetto di autostima è ormai entrato nel linguaggio comune e quando se ne parla tutti sembrano saperne esattamente il significato. Generalmente il termine è associato alla sensazione di sentirsi sicuri di sé. E vicino a questa interpretazione ce n'è un'altra: chi prova questa sensazione ce l'ha perennemente.


In realtà l'autostima è un concetto più articolato.

Ad esempio questa sensazione di sicurezza di sé possiamo provarla in relazione a qualche risultato importante per noi, come riuscire a fare qualcosa superando delle difficoltà. Solamente che questa sensazione, quando legata ad un risultato, permane per un periodo breve e ha bisogno di essere alimentata con nuovi risultati.


Poi c'è un livello più profondo, il livello legato al valore di sé indipendentemente dai risultati. Questa sì, è una sensazione di base che è complesso costruire se manca, ma che ha una permanenza perenne e alti e bassi contenuti. Questo è il livello che come esseri umani inseguiamo, spesso confondendolo o sovrapponendolo all'altro legato ai risultati e fantasticando che sì... se raggiungessimo quel risultato allora proveremmo autostima perenne...


L'Autoefficacia, invece, è la fiducia che abbiamo in noi stessi di poter affrontare un compito.

Anche qui, spesso quando parliamo di autostima in realtà intendiamo autoefficacia.


Ad esempio un cliente può dire "ho timore di non farcela... non mi fido mai delle mie capacità... ho un'autostima bassa...". In realtà quando citiamo il timore di non farcela o la sicurezza di farcela in relazione a un risultato, non stiamo parlando di autostima, ma di autoefficacia.


Ecco cosa dice Albert Bandura, il padre del concetto di autoefficacia, a proposito della differenza tra i due concetti:


I concetti di autostima e autoefficacia vengono spesso usati intercambiabilmente, come se rappresentassero lo stesso fenomeno. In realtà, si riferiscono a cose completamente diverse. Il senso di autoefficacia riguarda giudizi di capacità personale, mentre l’autostima riguarda giudizi di valore personale. Non c’è una relazione definita fra le convinzioni circa le proprie capacità e il fatto di piacersi o non piacersi” (Bandura, A., 2000, “Autoefficacia. Teoria e applicazioni”, ed. Erickson, p. 33).


Su questa biforcazione nasce, a mio parere, una delle differenze più marcate tra psicoterapia e coaching. L’autostima profonda è territorio di intervento della psicoterapia. L’autoefficacia del coaching.

E sono territori che si sovrappongono solo in parte.


Uso un esempio classico: la paura di parlare in pubblico "per timidezza". Facciamo l’esempio che mi sia stato chiesto di parlare ad un TED TALK.

Ammettiamo, anche, che la timidezza sia ciò che mi impedisce di stare bene con me stesso e con gli altri.


A questo punto, la domanda è: risolvere la timidezza garantisce il successo del mio intervento alla convention? E’ questo il problema?

In linea teorica no, perché non c’è una correlazione diretta tra il mantenere la calma di fronte ad un pubblico e il parlare in pubblico con efficacia. Per parlare in pubblico con efficacia servono altre competenze: coinvolgere l’uditorio, argomentare, essere espressivi, essere chiari nell’esposizione, essere sintetici, ecc.


E quindi, ho bisogno di un coach o di uno psicoterapeuta?

Se il risultato che cerco è l'efficacia, riuscire a fare una buona performance, raggiungere un risultato specifico (nonostante la timidezza o altre inclinazioni) allora ho bisogno di coaching.


Quanti oratori provano un livello variabile di timidezza? Tanti artisti di successo la dichiarano apertamente.


Quando, invece, è una questione psicoterapeutica? Quando il desiderio prevalente è risolvere proprio la timidezza perché veramente bloccante per me (ad esempio il timore di parlare in pubblico diventa panico e mi paralizza).


Ma quando i livelli dei sentimenti e delle emozioni sono gestibili e ci permettono di muoverci nel mondo, di decidere se buttarci o meno, allora il coaching ci può aiutare a raggiungere i risultati in cui abbiamo bisogno di incrementare la nostra percezione di autoefficacia per farcela.


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