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Coaching e intelligenza emotiva

Aggiornamento: 11 gen 2022

Che rapporto c’è tra coaching e intelligenza emotiva?

E che rapporto c’è tra intelligenza emotiva e successo professionale?

Goleman si esprime così:

“Le regole del lavoro stanno cambiando. Oggi siamo giudicati secondo un nuovo criterio: non solo in base a quanto siamo intelligenti, preparati ed esperti, ma anche prendendo in considerazione il nostro modo di comportarci verso noi stessi e di trattare gli altri. Questo nuovo metro viene applicato sempre più spesso quando si deve scegliere chi assumere e chi no, chi licenziare e chi riconfermare, chi scavalcare e chi promuovere. (...)

La nuova misura di eccellenza dà per scontato il possesso di capacità intellettuali e di conoscenze tecniche sufficienti a svolgere il nostro lavoro. Invece, punta principalmente su qualità personali, come l’iniziativa e l’empatia, la capacità di adattarsi e di essere persuasivi.” (Daniel Goleman, Lavorare con intelligenza emotiva, Rizzoli, 1998).


Quando Goleman parla di capacità intellettuali si riferisce al quoziente di intelligenza (QI).


Sta dicendo che il quoziente di intelligenza è oggigiorno considerato un prerequisito per accedere alle alte performance, mentre il quoziente emotivo (QE) è considerato la chiave per portare nel mondo con successo le proprie capacità tecniche e intellettuali.


Come dire, possiamo possedere conoscenza e capacità cognitive alte, ma se non siamo anche bravi a condividere, a comunicare, a coinvolgere, a guidare, ad ascoltare, a dare supporto, a capire gli altri, a capire le reti di relazioni, a gestire i nostri impulsi ed emozioni, a riconoscere le nostre emozioni, ad essere tenaci e a non lasciarci abbattere dalle difficoltà, ecc… è poco probabile riuscire a farsi notare, ascoltare, seguire, ispirare fiducia.


È chiaro che vale anche il contrario: una alta intelligenza emotiva senza avere necessarie competenze tecniche non serve a conseguire risultati pragmatici apprezzabili…


Per esempio, quante persone conosciamo che seppur preparate tecnicamente e intellettualmente, faticano a trovare una collocazione adeguata alle loro capacità?


Oppure, pensiamo a quei tecnici molto preparati nella loro specialità che sono stati messi a dirigere un reparto, e che hanno conseguito risultati manageriali non all’altezza delle aspettative suscitate dalla preparazione tecnica.


Ma cos’è l’intelligenza emotiva?

È l’insieme delle capacità che ci permettono di usare le nostre emozioni per conseguire risultati relazionali e pragmatici utili a noi e agli altri.


Sotto l’etichetta intelligenza emotiva è racchiusa una famiglia di competenze.


Anche se noi conosciamo Goleman come l’autore per eccellenza, in realtà gli autori, i modelli e le competenze descritte come intelligenza emotiva sono molteplici.


Ad esempio, il modello alla base del questionario ORG-EIQ (Organizational-Emotional Intelligence Questionnaire) presenta quattro categorie: consapevolezza e valutazione del sé, autogestione, competenza sociale e gestione delle relazioni.


Ciascuna di queste categorie, a sua volta, è composta da sotto competenze:

  • consapevolezza e valutazione del sé: consapevolezza di sé, sicurezza di sé, intrapersonal (simile al concetto di assertività)

  • autogestione: autocontrollo emotivo, tenacia, adattabilità

  • competenza sociale: empatia, consapevolezza organizzativa, orientamento al cliente interno/esterno

  • gestione delle relazioni: leadership, catalizzatore del cambiamento, lavoro di gruppo.

Ora vediamo in pratica un esempio di comportamento che possiamo declinare nel modello dell’intelligenza emotiva.


Sono in ufficio e condivido la stanza con un collega. In realtà è un nuovo collega, non lo conosco da tanto e i nostri rapporti sono ancora formali. È estate e fa caldo. Facciamo il caso che io abbia un cattivo rapporto con l’aria condizionata: mi procura dolori cervicali e per questo ho condiviso con il collega la necessità di tenerla molto bassa (ossia aria nella stanza poco rinfrescata). Ammettiamo che io mi assenti per una riunione. Dopo un’ora rientro e trovo l’aria condizionata al massimo e la stanza “gelata”.


A questo punto provo delle emozioni che mi agitano.


La domanda è come le utilizzerò per raggiungere il miglior risultato che faccia stare bene me e non leda il collega o, se ci riesco, lo faccia stare sereno e incrementi la stima che ha di me?


Per esempio: potrei sentirmi legittimato a provare rabbia perché penso che la colpa sia oggettivamente sua. Quindi esclamo “E no! Ti avevo detto che non si può metterla al massimo…”, poi potrei accigliarmi e fare una faccia offesa. Che risultati mi porta questa strategia? Sicuramente incremento della tensione emotiva mia e sua e un prolungamento dello stato emotivo di rabbia. Magari pensieri rimuginanti sul fatto che sbaglio sempre a dare troppa fiducia agli altri e che il collega è una persona di cui non posso fidarmi. “Ecco, un altro motivo per lamentarmi del mio lavoro…”, penso. Il tutto peserà sulle mie performance di lavoro e di team: sarò meno concentrato e disponibile con gli altri, con performance relazionali e pragmatiche scarse.

Risultato: non sono in pace con me stesso, né con il collega.


Oppure, posso rendermi conto che sono arrabbiato (consapevolezza di sé) fare un bel respiro (capacità di autogestione) e ricordarmi che mi arrabbio sempre quando mi sembra che qualcuno mi faccia una cattiveria (consapevolezza di sé). Non mi sento una vittima (sicurezza di sé) e fermandomi a riflettere ci possono essere altre spiegazioni all’accaduto. Per esempio, è faticoso per il collega resistere con questo caldo (empatia) e ha semplicemente approfittato della mia assenza. Così esclamo “Accidenti che temperatura glaciale! Mi sa proprio che ti ho fatto penare… Dai, mi copro il collo con questa sciarpa. Posso chiederti di alzare comunque un po’ la temperatura?” (assertività, tenacia, lavoro di gruppo).

Risultato: contengo al minimo la tensione, uso l’episodio per rafforzare l’intesa con il collega e mantenere un clima lavorativo positivo, le mie performance sono salve (attenzione, concentrazione, collaborazione).


Ok, ma le competenze che fanno parte della famiglia dell’intelligenza emotiva si possono migliorare?

La risposta è sì e lo strumento per eccellenza è il coaching.


Perché non stiamo parlando di tratti di personalità (ad esempio introversione o estroversione), ma di strategie di comportamento. Qual è la differenza? La differenza è che la personalità è il nostro stile di comportamento, mentre la strategia è l'insieme di azioni e parole che mettiamo in campo.


Ad esempio, nella situazione descritta sopra sia con un tratto di estroversione, sia con un tratto di introversione, è possibile gestire la situazione con la strategia messa in atto nel secondo caso. Cambierà lo stile con cui una persona la mette in atto, ma non la sostanza e i risultati.


Cosa bisogna fare per allenare l'intelligenza emotiva?

Per allenare le competenze dell’intelligenza emotiva bisogna usare questi strumenti: introspezione, elaborazione di strategie alternative e sperimentazione pratica sul campo. E questi sono esattamente gli ingredienti del coaching.


Il percorso di coaching ha come risultato il rafforzamento dei quattro aspetti dell’intelligenza emotiva: consapevolezza e valutazione di sé, autogestione, competenza sociale, gestione delle relazioni. In un percorso non alleniamo tutte le competenze, ma solo quelle necessarie al cliente per raggiungere i risultati desiderati.


Pensiamo, ad esempio, a un cliente che per raggiungere i risultati desiderati abbia bisogno di lavorare sulla propria capacità di rispettare le scadenze: il comportamento inefficace agito dal cliente è trovare motivazioni plausibili per rimandare gli impegni.

Impegno e motivazione beneficiano dallo sviluppo di specifiche competenze emotive: sicurezza di sé, autocontrollo emotivo, tenacia. Il coaching sarà orientato a supportare il cliente nel superare le convinzioni limitanti inerenti la sicurezza di sé, nel trovare strategie di autocontrollo emotivo, nell’allenare la tenacia attraverso gli apprendimenti su di sé, nell’affinare le strategie alternative elaborate in sessione.


Lo stesso può dirsi per il Team Coaching: il miglioramento delle performance del team è funzione delle competenze tecniche e delle competenze di intelligenza emotiva espresse dal team.

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