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Coaching e bias della negatività: focalizzarsi sui limiti o sulle opportunità?

Aggiornamento: 22 ago


Una scritta che dice "Focus on Remedies, not Faults"
Il coaching aiuta a focalizzarsi sulle soluzioni, non sui problemi

Hai mai notato che l’aspettativa di eventi negativi attira la nostra attenzione più dell’aspettativa di eventi positivi?


Hai mai notato che gli effetti sull’umore di una critica o di un errore durano più a lungo di una lode?


E che le cattive notizie attirano più attenzione di quelle buone?


Se stai pensando "è logico!" vuol dire che sei inconsapevole di agire il bias della negatività (negativity bias).


Consiste nella nostra naturale propensione a dare maggior peso agli aspetti negativi rispetto a quelli positivi.

Al di là degli estremi formati dal popolo degli ottimisti e dei pessimisti, nel mezzo tutti noi inconsapevolmente agiamo questa tendenza.


In sintesi, senza sospettare che questo sia un comportamento irrazionale, tendiamo a:

• pensare alle cose negative più frequentemente di quelle positive

• reagire più prontamente e intensamente agli stimoli negativi che a quelli positivi

• ricordare le esperienze traumatiche meglio di quelle belle

• ricordare le critiche meglio delle lodi

• imparare di più dai risultati e dalle esperienze negative

• prendere decisioni basate più sulle informazioni negative che su quelle positive

• ritenere le notizie negative più probabilmente vere di quelle positive.


Da dove viene il bias della negatività?


La nostra tendenza a prestare maggiore attenzione alle criticità e a trascurare le opportunità è probabilmente il risultato dell'evoluzione.

In precedenza, nella storia umana, prestare attenzione alle minacce era letteralmente una questione di vita o di morte. Gli individui che prestavano più attenzione ai pericoli avevano maggiori probabilità di sopravvivere. Quindi trasmettevano i geni che li rendevano più attenti al pericolo.


Gli studi psicologici dimostrano che questo bias, oltre ad avere un impatto sul comportamento, sulle decisioni, sulle relazioni, può avere un forte impatto anche sulla motivazione.

Ed è questo che ci interessa di più nel processo di coaching.


Lungi dall’essere una esortazione a pensare positivo “perché son vivo, perché son vivo"... l’allenamento di coaching tiene in grande considerazione la capacità di saper riequilibrare questa asimmetria.


Attenzione, il coaching non propone di non pensare ai pericoli o agli aspetti negativi.


Gli aspetti negativi, i pericoli, le criticità ci sono ed è utile esserne coscienti. Quello che non è utile è concentrare lo sguardo prevalentemente su questi aspetti e ricavarne la conferma che la situazione è immodificabile. O concentrare lo sguardo prevalentemente su questi aspetti e ricavarne il timore di fallire.


In che modo il coaching allena questa competenza?

Attraverso interventi che aiutano a spostare lo sguardo anche in direzione degli aspetti costruttivi, positivi, di benessere.


Già a partire dalla definizione dell’obiettivo. Nel coaching si evita di lavorare su obiettivi definiti come “smettere di…”, “allontanarmi da…”, “non essere più…”. Si aiuta il cliente, invece, a riformulare l’obiettivo in termini positivi che esprimano piuttosto il desiderio di andare verso qualcosa.


Quello che vogliamo cercare sono “i motivi per fare”, anziché “i motivi per non fare”.

E poi attraverso domande che sottintendono l’apertura e la focalizzazione sulle opportunità da esplorare e da cogliere.


Ecco alcuni esempi:

  • quali benefici avrai dal conseguimento di questo risultato?

  • chi altri ne beneficerà oltre te?

  • a partire da questo tuo punto di vista sul mondo, quali cose sono desiderabili/possibili/benvenute per te?

  • qual è la buona notizia in questa situazione?

  • immagina che questo problema non esista, come cambierebbe la situazione?

  • in che modo puoi fare meglio quello che già funziona?

  • ecc.

Insomma, esattamente come dice il proverbio... la mente trova quello che cerca. Ed è proprio per questo che è utile contrastare questo bias consapevolmente chiedendo alla mente di cercare cose positive.

Questo aforisma di Albert Einstein è a suo modo la sintesi di questo approccio: “É meglio essere ottimisti ed avere torto, piuttosto che pessimisti ed avere ragione”.


Vale a dire, meglio aprirsi alle opportunità e tentare di agire per realizzarle che chiudersi nelle proprie convinzioni negative e rinunciare a tentare.


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